DIETRO LE QUINTE
di Domenico Calzi (Virgilio)
Ci si prepara all’ingresso, si rileggono le battute, nella poca luce, sperando di ricordarle e saperle pronunciare al momento giusto. Buio in sala, si parte! Le gambe cominciano a tremare; la voce basterà? Sarà rauca, limpida, del giusto timbro e della corretta intonazione? Scandire lentamente, ma non troppo; bisogna che il messaggio contenuto in queste belle parole arrivi, colpisca, penetri l’oscurità, si spanda, integro, completo, una freccia scagliata. E il gesto? Il corpo sarà all’altezza? Saprò fare bene, riuscirò a rendere visibile l’essenziale, saprò far durare a lungo quella parola, quel suono? Speriamo di non rovinare tutto: non anticipare, non scavalcare, non prevaricare, non mettere in difficoltà gli altri. Tutto funziona solo nell’equilibrio, nell’empatia, nel rispetto del ritmo, del reciproco scambio. Insomma, ci vuole metodo. Guardare il pubblico, lasciare i giusti spazi: vuoto/pieno, gioia/dolore, riso/pianto, cadute/risalite: la vita. Hanno provato a insegnarcelo, questo metodo, nel poco tempo riservato alle prove. Perché son qui, chi me l’ha fatto fare? Arrivano le classi, i bambini, i protagonisti della serata. Accompagnati dalle loro maestre, sfuggono da tutte le parti come pesci nella rete; loro entrano in scena; tu vieni dopo, sei solo di collegamento. Li guardi e la risposta ti si chiarisce. Si trasformano, rompono il silenzio, dicono la battuta a modo loro. In trasparenza leggi le speranze che hanno dentro. Stavolta niente voto, cara maestra, ora, qui, sul palco, non si guarda l’efficienza, non dobbiamo funzionare. Qui conta qualcos’altro: qui ora abbiamo la possibilità di essere, qui conta la passione. E che voto ci dai? Nove alla possibilità di essere e dieci in passione applicata! Ho visto il sogno, nei giri di danza, la musica che scioglie il ghiaccio fino alle lacrime. Ecco perché sono qui. Se pensiamo che dovremmo parlarci di più, rallentare e modulare i ritmi, comunicare le sensazioni, ritrovare la fame e la sete di nuovi incontri e possibilità, dobbiamo essere qui. Per un paio d’ore, niente mail, niente telefonini, ma il silenzio dell’abbandono agli altri, l’illuminazione delle idee. Siamo qui. Poi entri in scena anche tu, bene o male riesci a fare la tua parte. É fatta! Ti godi le scene restanti che non hai mai visto prima, quadri che sono stati preparati a pezzi, secondo le possibilità. Solo alla fine, magicamente, il lavoro viene assemblato, montato, cucito. Quanto è difficile tutto questo, quanta energia costa coordinare e gestire ogni battito, ogni sequenza di queste due ore. Per il gran finale, tutti sul palco. A giudicare dai sorrisi e dagli applausi, una qualche magia si è compiuta, la lieta catarsi è realizzata. La magia, sono sicuro, resterà impressa nelle Gocce, nei Custodi del Labirinto, nei Serpenti. Fortunati i nostri bambini che hanno avuto questa possibilità, che hanno sperimentato il mettere a disposizione degli altri i propri talenti e le proprie debolezze, con l’impegno di migliorarsi ogni giorno. Un jolly in più da giocare nel mazzo di carte del Grande Gioco della Vita. Non resta che ringraziare coloro che hanno permesso il realizzarsi di tutto questo. Tutti, tutti, tutti, compresi ovviamente gli spettatori, sperando che serate come questa possano ripetersi sempre. Mi raccomando Dirigenti, Maestre, Sindaca. Non interrompete la magia! Grazie.
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